S. MASSIMO: I LUOGHI DELLA STORIA
 
 

1. I caratteri generali dell¹insediamento
Cominciamo con il vedere i principali caratteri urbanistici
dell¹insediamento. Nella forma dell¹abitato è impossibile individuare una
figura geometrica astratta, una ben definita regolarità nella struttura
insediativa. La morfologia urbana è legata strettamente al supporto
geografico, da un lato, e, dall¹altro, alle vicissitudini che si sono avute
nelle varie epoche. S. Massimo, così, presenta zone con differenti
caratteristiche urbanistiche. In cima al colle si ha una disposizione  ³a
grappolo² delle abitazioni; lateralmente, in un unico verso, questa
soluzione si combina con un altro schema urbanistico di tipo lineare, il
quale è incentrato sulla via Piccirilli. Questo percorso di crinale che si
sviluppa lungo una sorta di promontorio è quello che prevale. Questa parte
del paese può essere definita un borgo a fuso. La disposizione sul crinale
dell¹agglomerato abitativo permette di utilizzare a scopo difensivo la
coppia di complessi che recinge da due lati il promontorio. Nel suo insieme
questa zona, la cui struttura ha la propria ragione d¹essere nell¹esigenza
di protezione, va classificata come la parte più antica del centro abitato.
Qui sorgeva il castello distrutto dal terremoto del 1805. Della residenza
feudale oltre che alcuni tratti di murazioni rimane lo spazio della corte
esterna ed, appunto, Colle di Corte si chiama l¹area adiacente ai resti del
castello. Essendo una specie di cortile essa è volutamente pianeggiante
(²volutamente² in quanto gli spazi piani in Comuni posti in pendio come S.
Massimo sono sempre artificiali). Colle di Corte è quindi assimilabile ad
una piazza la quale si distingue dalla piazza G. Marconi perché a servizio
di una struttura militare e non di una religiosa. I due poli, ecclesiastico
e civile, hanno, pertanto, ciascuno uno slargo prossimo. La crescita
successiva dell¹insediamento non ha provocato alcuna trasformazione del
nucleo originario di epoca medioevale perché l¹espansione è avvenuta a
partire dal XVIII secolo all¹esterno di questo, sviluppandosi lungo la
strada che lo collega con il territorio. I connotati di questo percorso
preesistente all¹edificazione al suo contorno, la quale quindi si è dovuta
adattare ad esso e non quest¹ultimo alla prima, sono quelli di un andamento
sensibilmente curvilineo per superare le asperità del terreno. Questa
assenza di rettilineità obbliga ad avere lotti edilizi non sempre regolari.
Lo si può vedere in via S. Rocco (è trapezoidale il lotto del palazzo un
tempo di Donato Selvaggi), il primo tratto di questo percorso extraurbano
segnato dalla presenza di numerose cappelle (S. Rocco, S. Michele, S.
Filomena) toccate dalla processione che da tempo immemorabile dal paese
conduce alla chiesa di S. Maria delle Fratte sull¹omonima collina. Il nucleo
originario, che abbiamo visto sta sul promontorio e l¹espansione successiva
si differenziano per i caratteri dei percorsi. La strada sulla quale si
imposta l¹ampliamento è un nastro a sviluppo continuo al contrario della
rete viaria del nucleo medioevale che a volte viene fatta tornare sui suoi
passi attraverso curve ed inversioni. Le strade non sono solo percorsi, ma
anche luoghi di sosta che si formano quando il suolo è in piano perché non
possono esistere slarghi su terreni in pendenza: è ciò che avviene
all¹incrocio tra via S. Rocco e via Impero e presso la casa Micone lungo via
Piccirilli. Per quanto riguarda la caratteristiche delle abitazioni si
osserva che a S. Massimo mancano abitazioni plurifamiliari perché ogni
famiglia ha generalmente la propria casa. Da questo aspetto non si può,
comunque, dedurre l¹uniformità delle classi sociali perché vi sono case di
dimensioni molto diverse fra loro. Attraverso la grande varietà delle case,
che è tipica delle aree urbane piuttosto che dei villaggi rurali (come,
mettiamo, il vicino borgo di Castellone di Boiano), si riscontra una
complessità di presenze sociali, dal contadino all¹artigiano al proprietario
terriero al professionista. Le abitazioni dei coltivatori si riconoscono per
via della scala esterna che è un elemento figurativamente autonomo rispetto
alla casa il quale segna l¹immagine dell¹intero edificio. Il punto di
congiunzione tra la parte più antica e la zona di espansione è rappresentato
dalla piazza G. Marconi. La parola piazza deriva da un termine greco che
significa ³piano, largo² ed, appunto, questo è uno spazio pianeggiante. La
piazza è dominata dalla chiesa madre dedicata a S. Salvatore la quale è
posta in alto rispetto alla quota della piazza, al colmo di una scala e ciò
la rende più importante. Occorre sottolineare, per inciso, che solo davanti
agli ingressi delle chiese si hanno scalinate, mai davanti ai palazzi
signorili e ciò è quanto avviene a S. Massimo. La facciata della chiesa
presenta una linea marcapiano che richiama la trabeazione e che, fino a
qualche decennio fa, conteneva gli elementi del fregio; le paraste d¹angolo
sostituiscono i cantonali, ma sono presenti solo in facciata perché non sono
risvoltanti. La piazza presenta diversi livelli dei quali il più elevato è
costituito dal terrazzino di ingresso della chiesa da cui si ha una
sensazione di dominio sul luogo sottostante. Lateralmente una rampa, che è
poi la continuazione di via Piccirilli, collega in maniera continua i vari
livelli della piazza. La piazza è diversificata non solo in senso verticale,
ma anche in senso orizzontale. Gli alberi non sono mai presenti nelle piazze
del passato: qui ve ne sono solo nel lato in cui la piazza si ricollega alla
passeggiata (via Roma). Da questo stesso lato vi è il monumento ai caduti il
quale, quindi, risulta decentrato rispetto al fulcro della piazza. Del
resto, in piazze orientate su particolari edifici, che in questo caso è una
chiesa, non c¹è bisogno di oggetti monumentali che fungano da punti di
riferimento dello spazio. Di fronte alla chiesa affaccia un palazzo
signorile (palazzo Tortorelli). Il prospetto di questo palazzo è dominato
dal portale con lo stemma della famiglia il quale sostiene la balconata del
piano nobile. La porta è sempre un elemento simbolico di grande valenza che
qui viene esaltato dal fatto di essere architettonicamente autonomo rispetto
al complesso della fabbrica. Il portale è inquadrato da un apparato di
pietra che richiama, appiattito sulla facciata, l¹arco di trionfo romano con
fornice singolo a tutto sesto.

2. Le trasformazioni urbanistiche ottocentesche
 Dopo l¹unità d¹Italia si pose a S. Massimo, come in altri centri del Molise
a cominciare da Campobasso, il problema della modernizzazione
dell¹insediamento urbano. L¹occasione fu anche quella del terremoto avvenuto
agli inizi di quel secolo che avendo provocato seri danni spingeva a mettere
mano ad interventi di sistemazione dell¹abitato. Il sisma del 26 luglio 1805
oltre a causare la morte di 70 persone aveva minato la stabilità delle
vecchie mura del borgo medioevale le quali vennero abbattute in parte per
creare ampi viali, le odierne via Roma e via Impero, dove dovevano trovare
posto edifici pubblici (il palazzo della scuola previsto, ma non realizzato
sul sito dell¹orto della casa prima Farano e ora Galeassi) e il giardino
comunale (appunto la Fontana). Questa sostituzione delle murazioni (più
propriamente dei fossati adiacenti) con larghi ed ariosi viali alberati
costituiva un ampliamento del nucleo originario. Ampliamenti che ormai erano
favoriti in ogni Comune del nostro Paese dalla legge per gli espropri che è
proprio di quegli anni e che venne varata dal nuovo Stato unitario per
risolvere il problema del Risanamento di Napoli dove fu effettuato lo
sventramento dei quartieri popolari per la creazione del Rettifilo (corso
Umberto). In quel periodo a S. Massimo, grazie anche a questo strumento
legislativo, fu possibile avviare un autentico programma di grandi opere.
Infatti fu effettuata una serie di operazioni urbanistiche che riguardarono
non solo la zona posta fuori delle mura con i 2 viali e la Fontana, ma che
portarono anche alla trasformazione del vecchio centro con la demolizione di
abitazioni per la formazione della piazza Marconi, l¹allargamento (per
fortuna solo pianificato ma non attuato) della via Piccirilli (dovevano
essere abbattute le scale esterne alle case), oltre alla costruzione di
attrezzature collettive (appunto la scuola di cui si è detto). Tutte queste
iniziative rientravano in un piano regolatore redatto dall¹ing. Mazzarotta
nel 1877 in cui, si fa rilevare, il disegno delle opere e dei tracciati
viari non viene disgiunto dal sistema del verde. Pure a S. Massimo, alla
stessa maniera di altri Comuni di ben più grandi dimensioni, il verde è una
componente fondamentale della politica di risanamento urbano. Siamo
nell¹epoca nella quale il verde si afferma nella organizzazione urbanistica
per lenire le disfunzioni provocate dalla prima rivoluzione industriale: si
pensi a città quali Londra, Milano, ecc.. Pur se in un ben altro contesto
l¹attenzione al verde rivela anche qui da noi il passaggio ad un¹era più
attenta alle esigenze sociali. Il verde pubblico, formato dal giardino della
Fontana e dai viali alberati, e, quindi, accessibile a tutti i cittadini
costituisce un¹affermazione dei valori che si andavano diffondendo allora di
uguaglianza e di giustizia sociale. L¹importanza data alla questione del
verde nei centri cittadini man mano si diffuse anche nelle località più
piccole che cominciarono ad imitare le realtà urbane maggiori, diventando
quasi una moda. Il verde assume un ruolo fondamentale nel decoro urbano così
caro alla classe borghese che andava emergendo pure a S. Massimo,
soppiantando nella guida del centro il vecchio ceto feudale. Mentre il
feudatario associava la sua immagine a quella del castello, il prestigio
della nascente borghesia era affidato proprio al decoro urbano. Nuovi stili
di vita si andavano affermando che richiedevano viali per il passeggio,
giardini per l¹incontro e la conversazione. Il verde legato com¹è al decoro
penetra dappertutto dal cimitero (una nuova infrastruttura cittadina che
nasce nel medesimo arco temporale sulla scorta dei decreti napoleonici)
poiché la morte è vista come sublimazione della natura, ai giardini delle
abitazioni private (il più bello è quello appartenente agli eredi del dott.
Giuseppe Selvaggi con le aiuolette, il gazebo e, specialmente, il pino
marittimo). Una ex-discarica diventerà giardinetto comunale (al cui interno
viene posto il busto dell¹on. Enzo Selvaggi) e di essa rimane solo il
ricordo nel nome popolare di ²monnezzaro². Il verde, però, va visto a S.
Massimo come altrove quale insieme e non come una sommatoria di punti; nelle
intenzioni degli amministratori locali ottocenteschi doveva essere proprio
così come testimonia la contiguità tra il giardino della Fontana, il verde
alberato, il verde antistante alla scuola in progetto, il parco privato nel
quale sarebbe dovuta sorgere una residenza signorile e di cui rimangono le
imponenti mura di sostegno del terrazzamento in località Fonticella oltre
che il muro di recinzione lungo via Roma. Il fulcro di questo sistema era
costituito proprio dal giardino della Fontana. Si tratta di un giardino di
dimensioni forzosamente ridotte come, del resto, deve essere ogni giardino
urbano. In questo giardino piccolissimo trovano, comunque, spazio vialetti
sinuosi, aiuole e la fontana. Il giardino è impreziosito da un gioco d¹acqua
costituito dai zampilli i quali fuoriescono da teste leonine e che cadono in
una vasca. La fontana rappresenta, in un certo senso, la celebrazione
dell¹acqua proveniente dall¹acquedotto comunale costruito contestualmente
che serve altre due fontanelle dalle quali i cittadini potevano attingere.
Si ricrea, così, artificio e natura nel centro urbano. Nelle aiuole vengono
piantati alberi e non fiori per la loro facilità di mantenimento. Qui domina
l¹agrifoglio, una pianta locale, mentre via Roma è ombreggiata dagli
ippocastani, una specie esotica. Il giardino della Fontana è anche un
belvedere che permette di spaziare dalla vallata sottostante alla montagna.
Quello della terrazza è un tema ricorrente del giardino storico e ben si
addice a questo luogo che ha un¹elevata panoramicità. In definitiva il
giardino della fontana è l¹emblema più efficace dell¹atteggiamento culturale
di quest¹epoca di profonde innovazioni urbanistiche contraddistinte dalla
cura unitaria per gli aspetti funzionali e per quelli estetici.

Francesco Manfredi-Selvaggi

 

 

 

 

 


 


 


 


 




 

 

 


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